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Il Vangelo del Buon Pastore, che verrà letto nella Messa di questa domenica, ci ricorda che Gesù si prende cura di noi. Infatti tutti coloro che lui ha chiamato alla sua sequela possono sperimentare il fatto che egli li conosce personalmente ed è pronto a sacrificare la sua vita per loro.
Tra le omelie di San Giuseppe Freinademetz, che ci sono rimaste, la più personale è certamente la cosiddetta “Omelia dell’Addio”, predicata l’11 agosto 1878 nella chiesa di San Martino in Thurn. In tale omelia egli descrive la ragione che gli ha dato la forza di lasciare indietro tutto per seguire l’invito “del divino buon pastore”.
Miei cari fratelli, a causa dell’infinita misericordia di Dio, che scegli gli umili come suoi strumenti, spero anch’io di poter partecipare in una grazia, della quale sono eternamente indegno. Il divino Buon Pastore, nella sua insondabile bontà, mi ha invitato ad andare con lui nel deserto per aiutarlo a trovare la pecora perduta. Cos’altro mi resta da fare se non baciare la sua mano con gioia e riconoscenza e rispondere con le Scritture: “Ecco, io vengo!”.
Per Giuseppe Freinademetz “la pecora perduta” erano tutti quelli che non avevano ancora sentito parlare di Dio e ai quali egli voleva proclamare il messaggio liberatorio del Vangelo. L’istituto missionario, fondato a Steyl alcuni anni prima, gli offriva l’opportunità di portare il messaggio evangelico nella lontana Cina. Sei mesi dopo, nel prendere congedo da Steyl, aveva detto ai confratelli venuti a salutarlo:
“Sette mesi fa, quando ho lasciato le montagne della mia terra natale, è stato duro per me staccarmi da loro. A Steyl ho trovato una seconda casa ma adesso Dio mi chiama a cercarmi una terza casa al di là del mare. Voglio ascoltare la sua voce e congedarmi da tutto ciò che ancora mi lega all’Europa al fine di dedicare tutte le mie energie a servizio dell’Altissimo nell’Asia lontana.
Non si è mai risparmiato nei 29 anni di lavoro missionario in Cina. Molto spesso ha portato la sue forze allo stremo non solo per diffondere la fede cristiana ma anche per darle un fondamento solido. Più volte si era dovuto occupare di quei nuovi convertiti cinesi che soffrivano ostilità e persecuzione a causa della loro fede cristiana. In queste occasioni si era dimostrato un buon pastore pronto a sacrificare la sua vita per loro.
Dopo la sua morte, il suo vescovo, Agostino Henninghaus, ha scritto questo ricordo funebre: “Lo scopo della sua vita è stato quello di rinforzare la fede dei nuovi cristiani e di portare alla perfezione le anime consacrate. Era sempre convinto di non aver fatto abbastanza. Eppure il suo zelo non era duro ma ricolmo di nobile gentilezza e bontà di cuore. I cinesi lo sapevano bene. La sua porta era aperta per tutti e ognuno poteva ricevere almeno una buona parola…. In questi giorni di lutto tutte le comunità nel Sud Shantung stanno ancora piangendo la sua dipartita, e il giorno del Nuovo Anno Cinese, di solito festeggiato con grande allegria, è ancora vissuto come un giorno di lutto da alcuni nostri cinesi. La cosa più importante è però questa: che i suoi insegnamenti e il suo esempio non siano dimenticati e che il seme della parola di Dio, da lui seminato e fecondato da sudore e lacrime, possa portare frutti abbondanti”.
Il Venerdì Santo ci invita ad unirci in modo speciale a Gesù nella sua passione contemplando le sue sofferenze e riconoscendole come testimonianza del suo grande amore per noi. La croce e la sofferenza sono due componenti importanti della spiritualità di San Giuseppe Freinademetz. Infatti, in una conferenza data a un gruppo di catechisti nel 1893, ha detto: “C’è un sentiero che tutti quelli che vogliono diventare santi devono percorrere: la contemplazione delle amare sofferenze di nostro Signore Gesù”.
Lui stesso aveva percorso in quel sentiero. Non solo infatti aveva contemplato la passione di Cristo descritta nelle Sacre Scritture ma l’aveva anche sperimentata lui stesso: “Beati voi quando per causa mia siete insultati, perseguitati e rigettati in ogni modo possibile”. Una volta che, davanti a un mandarino (un alto ufficiale) nella città distrettuale di Tsaohsien, aveva difeso e chiesto il rilascio di un suo catechista accusato ingiustamente, era stato picchiato quasi a morte. Padre Freinademetz ha dato una dettagliata descrizione al suo vescovo di ciò che aveva sperimentato il 23 maggio 1889:
“Mi hanno strappato i capelli, torto le braccia e trascinato a lungo per la via principale della città. Pensavo che stesse arrivando la mia ultima ora. Ho riflettuto molto su Gesù che, caricato della croce, era trascinato per le strade di Gerusalemme e mi sono considerato fortunato di poter condividere il suo sentimento di vergogna. Al tempo stesso, però, avevo paura delle torture che mi aspettavano e imploravo da Dio la forza di sopportarle”.
Un’altra occasione in cui era scampato per poco alla morte era stato nel luglio 1900, quando si trovava nella stazione missionaria di Puoli, allora assediata dai rivoltosi. Avrebbe potuto lasciare la stazione e rifugiarsi altrove con gli altri missionari stranieri, ma aveva preferito restare con i cristiani locali in quella situazione di grave pericolo. In uno scritto destinato ai lettori in Europa parla diffusamente di quei drammatici eventi:
“I mille e più residenti e rifugiati nella stazione missionaria avevano tutti ricevuto i Santi Sacramenti. Ero riuscito a raccoglierli tutti in chiesa e a farli pregare ininterrottamente alternando il santo rosario con le stazioni della Via Crucis. Ognuno era preparato a morire. Dio ha visto quanto avevamo pregato e pianto”.
Quegli eventi sono anche ricordati in una lastra commemorativa posta nella chiesa di Badia nel 1925, nella quale è scritto: “Nell’anno 1900, Padre Freinademetz, a causa di una grande persecuzione, aveva quasi ottenuto la corona del martirio”. Questa lastra, donata da sua nipote Albina Frenademetz, è la prima testimonianza della venerazione del Santo nella sua terra natale.
E’ stata posta perché “Badia possa sempre ricordare questo suo grande figlio e intercessore presso Dio”.
La croce e la sofferenza sono menzionate in molte lettere scritte da Giuseppe Freinademetz alla sua patria. Spesso incoraggia i suoi compaesani ad accogliere la sofferenza senza disperarsi. In una lettera scritta al suo figlioccio Franz e datata 25 giugno 1905, egli scrive: “Fatti coraggio e porta la croce che il Signore ti ha mandato. Sarà sempre più piccola di quella che Dio stesso ha portato per noi”.
Il 28 gennaio 1908 muore il missionario Verbita Giuseppe (Ujöp) Freinademetz.
Fu canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 5 Ottobre 2003.
Benvenuti a OIES alle seguenti celebrazioni:
Domenica, 28.01.2024
Ore 20:00 Serata per entrare in sintonia con il Santo
Lunedì, 29.01.2024
Ore 16:00 Messa solenne con il coro parrocchiale di San Martino in Badia. La Messa sarà trasmessa per Radio Maria tedesca.
Celebrante principale: P. Christian Stranz SVD
Ore 20:00 Messa solenne con il coro parrocchiale di La Valle / Wengen
Celebrante principale: Giacomo Willeit, Decano
Non considero la vita del missionario come un sacrificio offerto a Dio, ma come la più grande grazia, che Dio mi ha fatto.
San Giuseppe Freinademetz
Spesso i visitatori della casa natale di San Giuseppe Freinademetz si domandano perché questo missionario in Cina, proveniente dalla Val Badia, sia stato proclamato santo. Nel suo caso infatti, a parte i miracoli riconosciuti nel processo di beatificazione e canonizzazione, si può solo dire che ha vissuto con straordinaria profondità e dedizione la sua vita di uomo, cristiano e prete. E questo fino alla fine dei suoi giorni.
“E così, adesso sono pronto; è arrivato il momento di andare in alto”. Questo è ciò che il Santo, ormai sofferente a causa della febbre tifoide, aveva detto al suo arrivo alla casa centrale dei missionari del Verbo Divino a Taikia il 19 gennaio 1909. Fino al giorno prima aveva presieduto l’esame annuale alla scuola per catechisti, ma adesso le sue forze erano venute meno. Quando l’avevano fatto salire in macchina, aveva detto al fratello malato che l’accompagnava: “Questo è il mio ultimo viaggio”.
L’epidemia tifoide aveva imperversato per molti mesi in alcune parti dello Shantung meridionale, facendo anche vittime tra le suore missionarie verbite. Particolarmente colpita era stata la città di Yenchowfu, dove Giuseppe Freinademetz era vissuto quale superiore della missione durante l’assenza del vescovo. Del resto, i malati gli stavano particolarmente a cuore: “Quando uno è malato sa bene cosa lo farebbe star bene; questo vale anche per i cinesi. Siamo infatti venuti qui per servire”.
Il giorno seguente aveva dato le sue ultime disposizioni. Aveva chiesto ai confratelli di perdonare le sue mancanze e di offrire una Messa per lui dopo la sua morte. Aveva assicurato a tutti che moriva fidando completamente nella misericordia del sacro Cuore e nell’intercessione di Maria. Dopo aver ricevuto i sacramenti dei moribondi, aveva chiesto che venissero poste sopra il suo letto tre immagini sacre: quella del Sacro Cuore, quella di un Angelo Custode, e quella di San Giuseppe, suo patrono.
La sua salute era deteriorata molto nei giorni seguenti. Gli si dovette togliere il breviario, che egli aveva tenuto ben stretto fino alla fine. Non c’era nulla che potesse alleviare la sua sofferenza, né le cure della medicina cinese né quelle di un medico americano fatto venire dalla vicina missione protestante. I confratelli delle vicine stazioni missionarie arrivavano uno ad uno per prendere congedo da lui e chiedere la sua benedizione.
Giuseppe Freinademetz morì il martedì 28 gennaio 1908. Ne fu informato a Steyl il superiore generale Arnold Janssen con un telegramma che diceva: “Oggi la nostra missione è stata colpita dal colpo più forte che le potesse capitare”. Un catechista cinese dichiarava: “Mi sento come se avessi perso mio padre e mia madre”.
Il vescovo Agostino Henninghaus aveva concluso la prima biografia del Santo, richiestagli dalla Direzione Generale dei missionari verbiti, con queste parole: “In queste memorie scritte abbiamo seguito il sentiero semplice della vita di un missionario. Diversamente forse dalle loro aspettative, i lettori non troveranno nulla di straordinario in queste pagine, né miracoli prodigiosi né conversione di massa descritte nella vita di altri missionari. Manca anche un glorioso martirio cruento. L’intera vita dell’uomo qui descritto è caratterizzata da una estrema semplicità”.
La festa della Sacra Famiglia attira la nostra attenzione sui genitori di Gesù, Maria e Giuseppe, e sull’infanzia da lui trascorsa con loro a Nazareth. Anche se, dal punto di vista storico, non sappiamo molto di tale periodo, possiamo ben ritenere che fu una tappa importante della sua vita. Del resto, l’infanzia è un periodo importante per ogni persona e lo è stato certamente anche per San Giuseppe Freinademetz. Nell’introduzione della prima biografia del Santo, pubblicata nel 1920 dal vescovo Agostino Henninghaus SVD su richiesta del Generalato, sta scritto:
Come l’uva matura mostra la qualità del terreno e della vite da cui proviene, così la casa natale e la famiglia influenzano il carattere di una persona. In loro stanno le sue radici e da loro si sviluppa poi la sua vita. La conoscenza di quelle radici è spesso la chiave per capire la sua personalità.
La conoscenza che il vescovo Henninghaus aveva circa la famiglia e l’infanzia del Santo era limitata alle osservazioni occasionali rilasciate da lui durante i vent’anni vissuti insieme in Cina. Le biografie scritte più tardi sarebbero state meglio informate, in particolare quella esaustiva di Fritz Bornemann pubblicata nel 1976. Il merito della maggior ricchezza di informazioni è dovuto alla nipote del Santo, Anna Maria Campidell, che, in occasione del processo di beatificazione, aveva meticolosamente raccolto i ricordi di tante persone che avevano conosciuto il Santo.
Tra le dichiarazioni rilasciate dalla sorella minore Giuseppina a riguardo dell’infanzia del fratello, spicca una frase che descrive in breve due caratteristiche del Santo di Badia: I nostri genitori ci hanno allevato tutti fin dall’infanzia con severità e gentilezza. Giuseppe Freinademetz avrebbe riservato la severità per se stesso e la gentilezza per gli altri, a partire dai suoi cari, i fedeli di San Martino, e i suoi amati cinesi.
Dalle molte lettere scritte dal Santo ai suoi familiari, sappiamo quanto si sentisse legato alla sua Badia. Anche se in esse parlava soprattutto della sua vita in Cina, desiderava anche essere tenuto al corrente di ciò che avveniva in patria. Quando per lungo tempo non riceveva notizie dai suoi fratelli, si chiedeva se per caso si fossero dimenticati di lui che viveva lontano in Cina. Quando veniva a conoscenza di eventi tristi occorsi in famiglia, scriveva parole di conforto alle persone in lutto. Nelle sue lettere chiedeva costantemente ai suoi parenti e benefattori di pregare per lui mentre li assicurava delle sue preghiere per loro. Nel settembre 1896 ha scritto così a suo fratello Antonio:
Non ho molto tempo per scriverti a lungo ma mi preme dirti che ho ricevuto la tua lettera con grande gioia, tanto più che è la prima che ricevo da te. Scrivimi di tanto in tanto perché ricevere lettere da casa mi porta tanta gioia. Se è vero che ci separano i mari e migliaia di ore, è pur sempre vero che restiamo fratelli e da veri fratelli speriamo di continuare a volerci bene anche quando ritorneremo alla casa del Padre in Paradiso. Là ci stanno già aspettando nostro padre e nostra madre e altri nostri fratelli e sorelle. Mi vengono le lacrime agli occhi quando penso al magnifico giorno del nostro incontro in Paradiso.
Nel giorno della Commemorazione dei Fedeli Defunti la Chiesa fa memoria di coloro che sono morti e, al tempo stesso, ci ricorda che anche noi siamo destinati a morire. Troviamo queste stesse due finalità nelle lettere, sermoni e altri scritti del santo sudtirolese Giuseppe Freinademetz.
Più e più volte ha parlato del giorno in cui si sarebbe incontrato di nuovo coi suoi cari, e della sua fiducia che, alla loro morte, sarebbero stati con Dio. Nell’estate del 1891, dopo aver avuto notizia della morte di suo padre in aprile, aveva scritto a sua madre: “E’ molto probabile che non avrò il conforto di rivederti in questa vita, ma ci incontreremo con il buon Dio lassù in Paradiso”. E quando gli arrivò la notizia della morte di sua madre nel 1893, fece stampare un avviso funebre con la scritta: “Il prete Fu chiede ai suoi amici fedeli di pregare che sua madre possa essere accolta presto nel Regno dei Cieli”.
Le molte lettere, che ci sono rimaste e da lui indirizzate ai suoi familiari, amici e benefattori in Tirolo, testimoniano il suo profondo attaccamento alla sua patria ma anche la sua sofferenza per esserne separato. Nella sua ultima omelia, tenuta nella chiesa di San Martino l’11 agosto 1878, manifesta con queste parole la consapevolezza che la sua partenza dalla sua Bella Badia sarebbe stata definitiva: “Ciò che chiedo al Signore quest’oggi è questo: che la nostra separazione non duri per sempre ma che ci possiamo ritrovare tutti insieme nel giorno del giudizio con le palme in mano alla destra del giudice supremo”.
La sua fede profonda è marcata dalla convinzione che è possibile vivere in eterno con Dio. Tale vita eterna però potrebbe essere messa a repentaglio, e di questo ci mette in guardia nelle sue lettere, anche se crede fermamente nella misericordia divina. Per questo è per lui molto importante sostenersi a vicenda colla preghiera, come scrive ai suoi fratelli e sorelle nel novembre 1893: “Il più grande dono che ci possiamo dare è quello di pregare gli uni per gli altri implorando da Dio la grazia di portare a termine degnamente il compito che ci è stato affidato, in modo da poter condividere la gioia in paradiso”.
Giuseppe Freinademetz ha nutrito un forte affetto non solo per i suoi familiari ma anche per il tessitore di Sotrù, Franz Thaler, che l’aveva accompagnato da Oies a Bressanone per frequentare il ginnasio quando aveva solo dieci anni. Gli è stato riconoscente per tutta la sua vita. Quando venne a sapere della sua morte prematura, ha scritto alla moglie Elisabetta una lettera di conforto in ottobre 1880, esprimendo la speranza di ritrovarsi un giorno in paradiso: “Uno alla volta lasciamo questo mondo finché ci ritroveremo nell’aldilà...Giorno verrà che Dio stesso asciugherà le nostre lacrime e, per Sua grazia, noi Badioti e Cinesi, ci incontreremo di nuovo lassù nel Sacro Cuore”.
Nell’omelia tenuta nella chiesa di San Martino nella festa di Ognissanti 1877 aveva già espresso il suo profondo desiderio che tutti i credenti si sarebbero un giorno riuniti: “Cari Cristiani, quali saranno i nostri sentimenti quando saremo ammessi alla comunione dei Santi in Paradiso! Saremo insieme a gente da ogni parte del globo: neri dall’Africa, bianchi dal Tirolo, gente di ogni lingua e generazione...E ci riconosceremo tutti come se fossimo sempre stati fratelli, provenienti da un faticoso e pericoloso pellegrinaggio attraverso il mare di questo mondo”.
Il 5 ottobre 2003 P. Giuseppe Freinademetz è stato proclamato santo da Papa Giovanni Paolo II assieme a P. Arnoldo Janssen. Nella sua omelia il Papa fece menzione di una frase scritta dal Santo ai suoi familiari nell’ottobre 1878, quando si trovava ancora a Steyl: “Non considero la vita del missionario come un sacrificio offerto a Dio, ma come la più grande grazia che Dio mi ha fatto”.
Anche se questa non è una delle frasi più note del nuovo santo, è certamente quella più importante a riguardo della sua vocazione missionaria. Sebbene la sua vita di missionario in Cina gli richiederà molti ‘sacrifici’, egli la vive nella ferma consapevolezza di essere stato chiamato a far conoscere la Buona Novella dell’amore di Dio a tutti gli uomini.
Ma dove stanno le radici della sua vocazione missionaria? Un’importante influenza a questo riguardo l’ha avuta Padre Giovanni C. Mitterrutzner, monaco dell’abazia di Novacella, che aveva insegnato varie materie a Giuseppe Freinademetz nel Ginnasio di Bressanone. Il monaco Mitterrutzer, che aveva già reso importanti servizi alle missioni in Africa Centrale, era in contatto epistolare con alcuni missionari originari dalla diocesi di Bressanone ed usava leggere le loro lettere ai suoi alunni. Oltre che nella scuola, gestita dall’abazia, egli promuoveva l’interesse missionario in tutta e al di là della diocesi. Anni dopo riceverà anche lettere scritte dalla Cina da P. Freinademetz.
Quando era ancora uno studente, il nostro santo aveva ascoltato queste parole del profeta Geremia lette nella liturgia del Venedì Santo: “I bambini imploravano pane ma nessuno gliene dava”. Aveva poi confidato ad un compagno che quelle parole l’avevano particolarmente colpito. In un’altra occasione, mentre guardava fuori dalla finestra dell’aula scolastica, gli era parso di scorgere dei bambini stranieri che gli gridavano da lontano: “Vieni da noi ad aiutarci”. Più tardi, tra gli esercizi di predicazione, ne avrebbe dedicato uno proprio al tema della missione. Tutto questo ci dice che Giuseppe Freinademetz aveva pensato continuamente ad una sua possibile vocazione missionaria sia durante gli anni del ginnasio come in quelli di teologia.
Non fa perciò meraviglia ciò che scrive dalla Cina a suo nipote Pietro Frenademez nel dicembre 1891: “Sarebbe una grande gioia per me e una grande grazia per te se tu più tardi diventassi missionario in Cina….tu potresti già pregare per questa grazia, come ho fatto io quando ero un giovane studente come sei tu adesso. Allora mi pareva quasi impossibile di poter andare in Cina; ma per Dio nulla è impossibile”.
Un ulteriore tassello nel mosaico della sua vocazione missionaria, tale da costituire l’ultima spinta alla sua realizzazione, è stato un articolo apparso nella Rivista Diocesana di Bressanone nel gennaio 1878, pochi anni dopo la fondazione dell’Istituto Missionario di Steyl. Alcune settimane più tardi Freinademetz scrive al rettore Arnoldo Janssen: “Molto Reverendo Padre, la chiamata dell’Istituto Missionario cui voi avete dato vita, e sul quale riposa già abbondante la benedizione di Dio, ha raggiunto anche i più remoti angoli del Sud Tirolo. Dato che, ormai da molti anni, ho pensato di dedicarmi al lavoro missionario, ora busso rispettosamente alla vostra porta e chiedo di esservi ammesso”.
La festa dell’Esaltazione della Santa Croce, che la Chiesa celebra il 14 settembre, ci ricorda la dedicazione della prima chiesa costruita sopra il Santo Sepolcro a Gerusalemme e la venerazione dei fedeli per la Croce di Gesù. Ci rimanda anche alla riconquista da parte dell’imperatore bizantino Eraclio, agli inizi del 7mo secolo, della reliquia della croce rubata dai persiani. Questi eventi, assieme alla leggendaria scoperta della croce di Gesù da parte della madre di Costantino Elena, sono affrescati sul soffitto della cappella barocca del seminario di Bressanone.
Giuseppe Freinademetz avrà di certo alzato gli occhi verso quegli affreschi durante i suoi quattro anni di permanenza in seminario. Più spesso avrà guardato al dipinto di Gesù Crocifisso sopra l’altare principale, che rappresenta anche la 12ma stazione della Via Crucis della cappella. Era stato ordinato presbitero proprio in quella cappella dal principe vescovo Vincenzo Gasser, il 25 luglio 1875, festa di San Giacomo. Il primo giorno di febbraio 1908 verrà sepolto nel cimitero di Taikia (Cina) ai piedi della 12ma stazione della Via Crucis.
Giuseppe Freinademetz era cresciuto a Oies, una manciata di poche case sotto un potente massiccio, chiamato Sasso della Croce, ai cui piedi si erge, a un’altezza di 2000 metri, una chiesa dedicata alla Santa Croce. Fin da bambino, agli inizi dell’estate, aveva assistito alla processione nella quale un gruppo di forti giovani portavano la statua in legno di Gesù caricato della croce dalla chiesa parrocchiale di San Leonardo alla chiesa della Santa Croce, eretta ai piedi del massiccio fin dal Medioevo. In estate, ogni settimana, suo padre Mattia era solito scalare la montagna su un ripido sentiero per affidare a Gesù Crocifisso le preghiere della sua larga famiglia. Il sacrestano di quella chiesa era diventato un amico di famiglia, al quale, anni più tardi, il missionario Giuseppe manderà i suoi saluti dalla Cina.
Nella casa in cui è nato a Oies, è conservata la croce che ha accompagnato Giuseppe Freinademetz nei suoi lunghi viaggi di missionario itinerante nello Shantung meridionale. Durante quei viaggi, soprattutto nei primi anni, ha dovuto sperimentare più volte cosa significa mettersi alla sequela del Signore crocefisso: ostilità, persecuzione, e abusi di ogni genere. Ciò nonostante, così scriveva ai suoi genitori il 22 marzo 1886: “Mi trovo in Cina ormai da sette anni e, se Dio vuole, desidererei restarvi per altri 70. I cristiani cinesi amano i loro missionari come i cristiani in Europa, e probabilmente anche di più di loro. Per questo uno è disposto ad accettare alcune croci”.
Ha sempre tratto forza e coraggio dalla croce di Cristo, come ha predicato agli studenti del seminario missionario di Steyl nel febbraio 1879, prima della sua partenza per la Cina:
“Sulle montagne del Tirolo, in quasi ogni momento, si incontra la divina immagine del Salvatore crocifisso nelle strade e sentieri dei boschi e dei campi, delle colline e dei monti. E fa molto bene allo scalatore fermarsi qualche momento a tirare il fiato ai piedi della croce e a fissare un silenzioso sguardo a Colui che vi sta appeso (…) Come sarebbe bello che voi foste abituati a leggere ogni giorno, almeno per qualche minuto, questo libro. Se anche tutti i maestri di vita spirituale fossero morti e tutti i libri istruttivi fossero bruciati, questo libro da solo sarebbe per voi più che sufficiente”.
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Jeden letzten Freitag im Monat findet von 15 Uhr bis 16 Uhr im Geburtshaus von Josef Freinademetz ein "Bibliolog" statt.
Biblilog ist ein Weg die Bibel als lebendig und bedeutsam für das eigene Leben zu erfahren.
Texte der hl. Schrift werden durch eine kreative Füllung ihrer Lücken ausgelegt. Das „schwarze Feuer“ der Buchstaben und das „weiße Feuer“ als dem Raum zwischen den Worten regen zum Dialog mit dem Text an.
Sprache: Deutsch
Info unter: info@freinademetz.it oder Tel. 0471 839 635 (Geburtshaus / Br. Michael Ertl)
Die Steyler Missionare und Missionsschwestern laden ein zu drei biblischen Abenden. An den Vortrag zum Thema schließt sich jeweils eine Bildmeditation an, die das Gehörte vertieft.
Wer möchte, kann anschließend die Abendmesse um 19.30 Uhr mitfeiern.
Das kostenlose Angebot wird gestaltet von Sr. Anna Damas und Bruder Michael Ertl.
Sprache: Deutsch.
Eine Anmeldung ist nicht erforderlich.
Mittwoch, 8. Juni, 18.30 Uhr
Freinademetz-Kirche in Oies
Brunnengeschichten in der Bibel
Einst traf Jakob seine Rachel am Brunnen. Am Brunnen trifft Jesus die Samariterin, und eine Liebesgeschichte anderer Art nimmt ihren Anfang...
Donnerstag, 9. Juni, 18.30 Uhr
Freinademetz-Kirche in Oies
Gartengeschichten in der Bibel
Ein Garten steht am Anfang der Schöpfung: das Paradies – und darum erzählt uns der Evangelist Johannes die Vollendung der Schöpfung auch in Geschichten vom Garten.
Freitag, 10. Juni, 18.30 Uhr
Freinademetz-Kirche in Oies
Heilungsgeschichten in der Bibel
Das Wasser im Land des Gottes Israels heilt, wie Naaman am eigenen Leib erfährt. Aber wer Jesus trifft, das lebendige Wasser, braucht kein Reinigungsritual mehr, um heil zu werden.
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